Recensione di Sante Medri a Le viole stelle di L. Scarazzati
pubblicata sulla rivista mensile Università Aperta UA
marzo 2009, Imola


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Intervento di Sante Medri
alla presentazione della raccolta poetica “Le viole stelle” di L. Scarazzati
(LietoColle 2008) Biblioteca “L. Dal Pane” - Castel Bolognese (RA)
18 marzo 2009

A sottolineare e a sostenere l’opportunità della scelta dell’abbinamento tra musica e letteratura esistono illuminanti osservazioni di scrittori, tra cui Marcel Proust, che nel primo volume della Recerche, La strada di Swann, rilevava con una brillante immagine letteraria che «il campo aperto al musicista non è una misera tastiera di sette note, ma una tastiera incommensurabile, ancora quasi del tutto ignota, ove solo qua e là, divisi da spesse tenebre inesplorate, alcuni tra i milioni di tasti di tenerezza, di passione, di coraggio, di serenità che la compongono, dissimili uno dall’altro come un universo da un altro universo, sono stati scoperti da qualche grande artista che ci rende il servizio (…) di mostrarci quale ricchezza, quale varietà celi, a nostra insaputa, la vasta notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima».
Se i tasti delle note musicali nelle loro infinite combinazioni e varianti sono in grado di esaltare la qualità di un concerto ben oltre le sette note, gli effetti delle parole della letteratura e, in particolare, nel nostro caso della poesia non sono da meno e contribuiscono ad accrescere ulteriormente le enormi potenzialità e le fondamentali intuizioni che derivano dall’instaurarsi di un rapporto diretto tra poesia e musica.
Qualche anno fa Niva Lorenzini, intervenendo ad un premio di poesia dedicato alle donne, osservava che sono ancora poche le poetesse tra le figure femminili che compaiono nelle antologie che contano a livello istituzionale e nei canoni dei percorsi poetici ufficialmente riconosciuti e, pertanto, si chiedeva «Forse è fuori canone la scrittura femminile? Ma chi fissa i canoni, secondo quali parametri vengono fissati i canoni ? »
A queste domande, la Lorenzini rispondeva:
«La lingua è ancora molto maschile, gli schemi metrici sono maschili, le regole formali sono maschili, e ancora io credo che ci siano ragioni più profonde». E proseguiva: «Chiediamoci, anche, in positivo questa volta: perché la scrittura femminile fa fatica a diventare canone? Perché è una scrittura ironica, intanto, e l’ironia comporta trasgressione, comporta difficoltà ad essere perimetrata e regolamentata. Io aggiungerei che è una poesia di emozioni che più difficilmente si lasciano sterilizzare, che sa unire il rapporto concreto con le cose, col quotidiano, con l’elemento dell’invenzione. E’, perciò, una poesia che spiazza, che rompe con i codici precostituiti».
Essendo restia per le sue intrinseche caratteristiche ad essere etichettata e catalogata, la scrittura femminile svolge, quindi, una funzione creativa che favorisce il rinnovamento.
Come voce maschile della serata, nel condividere il giudizio della Lorenzini, non posso fare a meno di accogliere anche altre motivazioni pertinenti, come quelle, ad esempio, fatte proprie da Alberto Bertoni, che contribuiscono a definire in modo complementare la scrittura femminile. Scrive Bertoni:
« La scrittura femminile è una scrittura dinamica (...) che è capace di sguardo esattamente quanto è capace di ascolto e anche questa è una peculiarità della scrittura femminile vera. La capacità di mettere in gioco, di innescare, in una specie di corto circuito percettivo tutti i sensi, tutte le potenzialità sensoriali, di non limitarsi cioè soltanto alla vista, che è ufficialmente il senso della razionalità, il senso della ragione».
Mi sembra che la poesia di Loretta Scarazzati, che apparentemente si presenta a prima vista come semplice e chiara - e, senza dubbio, lo è dal punto di vista stilistico -, sia invece più articolata e complessa di quello che sembra, o meglio, sia densa di richiami, di riferimenti, di collegamenti che arricchiscono, comunque, le potenzialità e gli effetti che scaturiscono dal confronto e dal rapporto creativo messo in atto con alcuni tra i più significativi poeti italiani ed europei. Non a caso, Jiménez, Quasimodo, Pavese, Ungaretti sono tra i poeti preferiti dall’autrice, che questa sera verranno letti intrecciati ai versi de Le viole stelle, in un gioco di echi e di rimandi, in segno d’amore e gratitudine ad una parola da cui si è tratto nutrimento.
La raccolta di poesie di Loretta si annuncia con un titolo che richiama, tramite le viole, delicate immagini primaverili di fiori, accostati alla luminosità delle stelle, quasi a legittimare la segreta aspirazione di volere lanciare, con la complicità della poesia, l’antica sfida tra la terra e il cielo.
Il ricorso a suggestive immagini poetiche trova, infatti, conferma all’interno delle singole liriche che attestano un gusto raffinato e una spiccata sensibilità dell’autrice, ispirati a un equilibrato e armonico senso della misura.
«Poesia lieve», si è detto, «dell’età dell’innocenza», tuttavia pervasa, a mio parere, da un’inquietudine sotterranea, che richiama, anche «per la limpidezza dell’espressione» - in questo caso, sono pienamente d’accordo con Fortuna Della Porta - «una fase del mondo emozionale e poetico di Antonia Pozzi».
Si veda in proposito Sera d’aprile della Pozzi, in cui l’immediatezza dell’immagine prorompe nell’arco di pochi versi, fondendosi con un attonito, ma autentico stupore: «Batte la luna soavemente/ di là dai vetri/ sul mio vaso di primule:/ senza vederla la penso/ come una grande primula anch’essa,/ stupita,/ sola,/ nel prato azzurro del cielo».
Con la stessa limpidezza di immagini Loretta scrive: «sarà tutto, sarà niente/ le parole, le nuvole, il vento/ e un giro di valzer».
Tra le influenze dichiarate, ma forse sarebbe più esatto definirli “punti di riferimento”, o “modelli ispiratori”, quello di Emily Dickinson appare tra i più autorevoli, trovando, infatti, nella sensibilità femminile un simbolo emblematico e una compiuta ragione di essere.
Potremmo tracciare un itinerario che inizia in apertura di volume con l’intenso momento poetico rappresentato dal mistero della «notte», percepita e descritta in sintonia con le reminiscenze dei classici, giungendo fino alla rinnovata esigenza di modellare i sogni per comprendere meglio il ruolo e l’importanza.
Anche se, come ci informa l’autrice, « il più incantevole dei sogni non si realizzò», resta intatto lo stupore e la speranza che intervenga una metamorfosi della natura a salvaguardare la magia e l’incanto: «forse una conchiglia / una stella/ il vento/ un’onda del mare».
Ma il “disincanto” è in agguato dietro la porta, sempre pronto a trascinare le più allettanti aspettative nell’appiattimento della dimensione quotidiana.
Basta poco, magari solo una piccola distrazione, a fare perdere la strada giusta, o a sbagliare l’approdo: «fu scelta o ingannevole incantesimo», si chiede l’autrice, che sembra volere cercare un antidoto per difendersi «contro tanta avvelenata dotta sapienza», avendo a disposizione solo gli strumenti inadeguati della poesia.
«Ciascuno costruisce le sue prigioni», basta poco a costruire «sbarre di ferro che ci legano stretto» commenta Loretta, alludendo alle gabbie metaforiche, o reali che l’individuo realizza accuratamente con spirito autolesionista, mentre in precedenza Antonia Pozzi aveva scritto: «Ciascuno la propria tristezza/ se la compra dove vuole- / come vuole».
La raccolta, frutto di una produzione artigianale, che si riflette anche nella cura e nella veste esteriore del libro, le cui caratteristiche tendono a valorizzare i singoli esemplari come se fossero «oggetti d’arte», si snoda con agile leggerezza alla ricerca della reale identità delle voci che si riconoscono in un contesto amico e familiare: «Dove sei?/ Sei là sei qui/ sei altrove/ e io t’amo».
In una condizione esistenziale che offre labili certezze, la figura del padre si erge come un punto fermo che sprigiona una profonda commozione: «sarai tu il primo a venirmi incontro/ (…) La tua mano sarà pronta/ a prendermi/ forte/ il polso».
Si chiude così, con un bilancio positivo, un invito al dialogo e alla comunicazione « io ti ascolterò/ ascolterò i tuoi silenzi e i tuoi sorrisi/ le tue ombre e le tue luci» questa prima raccolta di versi, che fa ben sperare riguardo agli esiti futuri di un genere poetico caratterizzato dalla trasparenza dei sentimenti e dalla immediatezza delle emozioni.
Se per «leggere bene» come dichiara lo scrittore John Fante, occorre mettersi in relazione con il libro letto, «attivare gli spazi della fantasia e del sogno», «ascoltare il richiamo delle voci dei libri», di altri libri, questi requisiti la raccolta di poesie di Loretta Scarazzati li contiene tutti, insieme con la percezione di questa voce misteriosa, di cui parla John Fante, che tramite la lettura permette di sondare profondità oscure, sconosciute persino a noi stessi.


Sante Medri, autore di studi di storia della cultura e dell’editoria, ha al suo attivo una intensa produzione saggistica e di critica letteraria, tra i quali si ricordano: “Cultura e società a Lugo dal ‘600 al ‘900”, con saggio introduttivo di Marino Biondi, (La Mandragora, Imola 2000), “Gino Croati. Immagini del tempo di guerra” (Edit Faenza 2001), “Francesco Balilla Pratella e la cultura lughese tra Ottocento e Novecento” (Il Ponte Vecchio, Cesena 2006), “Libri, giornali, letture nell’area lughese dall’Unità d’Italia alla caduta del fascismo” (2007), “Pietro Cavallini. Viaggio nei libri e nelle letture di un bibliofilo lughese”, con saggio introduttivo di Marino Biondi, (Edit Faenza, 2008). E’ stato direttore della Biblioteca Comunale “Trisi” di Lugo. Collabora con saggi e recensioni alle riviste “Confini”, “Memoria e Ricerca”, “I Quaderni del Cardello”, “Romagna Arte e Storia”, “Studi Romagnoli”, “Università Aperta - Terza pagina”.





Intervento di Maria Filippa Zaiti
alla presentazione della raccolta poetica “Le viole stelle” di L. Scarazzati
( LietoColle 2008) Biblioteca “L. Dal Pane” - Castel Bolognese
18 marzo 2009

Ho conosciuto Loretta Scarazzati recentemente, nel novembre scorso, a Forlì in occasione di una presentazione collettiva di autori editi da LietoColle .
Mi ha subito colpito per simpatia e sensibilità e ci siamo intrattenute a lungo a parlare, ma è solo alla lettura dei testi, che ho cominciato a scoprire, dietro l’apparente fragile grazia dei versi, tutta la sua intensità.
In seguito ci sono stati scambi di libri e di mail e ho veramente capito che, oltre all’istintiva simpatia, ci lega una profonda affinità per il lavoro che abbiamo svolto e che ci accomuna sui problemi delle donne, il costante impegno nel campo dell’emancipazione, della liberazione dai vincoli culturali e sociali , nella ricerca di un consapevole percorso verso l’autonomia e l’accettazione delle responsabilità che derivano da una più forte identità (e di questo parlano, di percorsi di vita e coraggiose scelte al femminile, i suoi saggi e le interviste pubblicate su testi e riviste autorevoli).
In questo suo impegno la sento profondamente vicina : io lavoro come psichiatra e ascolto ogni giorno dolorose storie di donne; certamente, come me, Loretta in tanti momenti si è fatta sorella di altre donne aiutandole a percorrere un passo difficile della loro esistenza, accompagnandole nella fatica della narrazione del loro vissuto, che riesce così ad essere “terapeutica” rielaborazione, quindi in una relazione d’aiuto al disagio dell’ineguaglianza di genere.
Penso che proprio questa forte esperienza l’abbia indotta e spinta alla scrittura, rendendo quasi necessaria l’espressione poetica, perché ogni donna che matura una sua consapevolezza e riesce a darvi forma, non parla solo per sé, ma parla per tutte le altre, anche per le escluse, le dimenticate, quelle che forse non riusciranno mai a farlo .
La scrittura è un momento consapevole di riconoscimento del proprio bisogno: riconoscere il proprio bisogno interiore e seguirlo senza curarsi delle conseguenze , delle convenienze letterarie o sociali, scrivere senza filtri, senza censurare il sentimento in piena libertà, anche a rischio di eccessivo lirismo o di autobiografismo: questa la vera trasgressione della scrittura femminile.
La scrittura è una conferma delle parole, dà forza e memoria; quando, come per la donna, diventa strumento di conquista e conferma del sé, autoaffermazione visibile, si costruisce sulla ricerca della verità, dentro la riflessione su se stesse, guardando con estremo coraggio fino in fondo; anche a costo di trovare il buio e smarrirsi come è accaduto ad alcune eccelse poete, tanto famose quanto sfortunate, che strette nelle trappole di inestinguibili conflitti, sono infine implose in se stesse ( e qui ricordo per tutte Antonia Pozzi, Amalia Rosselli, Silvia Plath, Anne Sexton ).
Ma entriamo subito nel “buio illuminato”, come mi piace definirlo, della poesia di Loretta, prendendo in mano il suo libro e osservando la bella copertina: nel dipinto di Van Gogh c’è un giardino notturno, un cielo viola dove fioriscono stelle.
Sfogliando tra le pagine interne troviamo un misterioso disegno (che ho scoperto poi essere il logo stesso dell’associazione culturale ParoleCorolle fondata dalla nostra poeta): viole che diventano stelle e circondano un profilo femminile.
E domandiamoci allora: perché questo continuo sguardo alle stelle?
“immutabili stelle che ancora chiamate”.
Perché questa perenne invocazione alla notte?
”notte aspettami”, “notte accoglimi”,”splendida notte che mi chiami”.
Forse, come scriveva Antonio Ramos Rosa, poeta portoghese, anche la Scarazzati cerca “l’identità in una imprevedibile stella, nello sguardo fuggente della poesia”?
Sappiamo che la notte è da millenni celebrata in tutte le cosmogonie come l’oscuro principio, profondità del mistero femminile , del grembo materno, luogo dell’anima e custode segreta di tutti i sogni e desideri.
Ma è anche il luogo di libertà assoluta, della fantasia senza categorie opposte né mascheramenti, lo spazio perduto dell’infanzia e del gioco che spesso viene richiamato nelle poesie della nostra autrice.
La notte rappresenta il centro da cui tutto può scaturire (il mare del non detto, l’indistinto linguistico) in cui occorre cercare tutto, come dice Henry Michaux ; è quindi da sempre la culla dell’ispirazione poetica.
La poesia è esercizio della notte perché fa vedere chiaro al poeta , oltre le apparenze: illuminato dal fuoco che emana dentro di noi, l’uomo supera se stesso, perviene al centro più segreto di sé e insieme al di là di sé, alla soglia del nulla e allo stesso tempo dell’essere.
Perché la notte comporta il passaggio del confine che ci separa da noi stessi, dall’ombra che è il fondo autentico di ciascuno di noi; e se è pur vero che tutto ciò che è nero e oscuro è pericoloso, la donna poeta non ha paura della notte e di perdersi, perché in essa sa che può ritrovarsi.
Stare nella notte è infatti imparare l’attesa, assaporare l’istante, riempirla di momenti, tollerare lo stupore per entrare nel mistero. E’ accettare la femminilità, essere donna e diventare dea, cioè colei che unisce l’uomo al cielo, il legame tra materia e spirito.
” Io sono l’amica della verità, io sono la notte”dice Helen Cixous
“ l’oscurità è sempre una buona amica “ dice Loretta Scarazzati.
Ma è solo con l’arte poetica che l’immensa ombra che ci abita si fa presente nella coscienza, senza che questa ne rimanga sopraffatta; la poesia è nella solitudine ma vince la solitudine, perché quando dal poeta nascono le parole, queste non sono più sue ma sono dell’altro, vanno verso l’altro.
La parola poetica è un’ esigenza insopprimibile , apre le porte all’anima, è viaggio d’amore e conoscenza, ma nella donna è ancor più visibilmente generatrice perché in ognuna di noi c’è qualcosa della madre che ripara e alimenta e resiste alla separazione: si può dire che la donna “scrive con l’inchiostro bianco”, il latte materno.
Però, anche se la scrittura è una conquista recente di colei, che per secoli poteva essere solo muta o matta o strega, quando osava le parole del potere, cioè della magia-medicina, ora purtroppo non fa più notizia , non fa scandalo, fa tendenza.
E così, anche se è un bene che ormai non ci sia del femminismo più ombra di rabbia e sia scomparsa ogni nota di aggressiva rivendicazione, il rischio è che la parola femminile si addormenti , perda la forza dirompente della verità svelata a tutti i costi .
La scrittura invece rappresenta innegabilmente la possibilità stessa del cambiamento, lo spazio della trasformazione necessaria all’evoluzione personale e universale dell’umanità.
Proseguiamo allora in questo cammino, guidati dai versi luminosamente notturni di Loretta, continuiamo a cercarci per raggiungere ed amare la nostra meravigliosa complessità, indossiamo con la poesia ampie e sicure ali che ci sostengano per superare il baratro delle disillusioni e il deserto delle solitudini, costruiamo con la poesia ancora solidi ponti da attraversare per incontrare l’altro e conoscere la nostra anima.


Maria Filippa Zaiti
vive e lavora come medico a Forlì; iniziando da giovanissima a scrivere poesie ne pubblica una prima raccolta nel 1968 e poi ancora su numerose riviste nazionali ed antologie. Dipinge con tecniche miste utilizzando spesso materiali "di scarto" e si occupa con interesse di arte-terapia. In collaborazione con l'Associazione L'Ortica partecipa all'organizzazione e promozione di varie iniziative culturali.
Nel 2004 pubblica una plaquette curata da Alberto Casiraghy per le preziose Edizioni Pulcinoelefante e alcuni suoi aforismi sono raccolti nell'antologia "L'albero degli aforismi" (LietoColle), mentre nel 2005 realizza "TESSERE" un'opera elaborata nell'ambito di un processo di "rivelazione" dell'universo femminile, dove grafica e scrittura poetica si integrano sinergicamente per rendere la metafora visibile segno e messaggio. Nel 2008 pubblica la raccolta poetica “Indirizzario universale” (LietoColle), recensita da R. Carifi nella rivista “Poesia” – Anno XXII n.236 – Marzo 2009.
Altri suoi lavori sono inclusi nel volume "Oltre l'autunno" (manuale di poetica Haiku, Torino 2006) e in "Progetto Patchwork. Una rete di poesia delle donne" (Bologna 2006).