A
sottolineare e a sostenere l’opportunità della scelta dell’abbinamento
tra musica e letteratura esistono illuminanti osservazioni di scrittori,
tra cui Marcel Proust, che nel primo volume della Recerche, La strada
di Swann, rilevava con una brillante immagine letteraria che «il
campo aperto al musicista non è una misera tastiera di sette note,
ma una tastiera incommensurabile, ancora quasi del tutto ignota, ove solo
qua e là, divisi da spesse tenebre inesplorate, alcuni tra i milioni
di tasti di tenerezza, di passione, di coraggio, di serenità che
la compongono, dissimili uno dall’altro come un universo da un altro
universo, sono stati scoperti da qualche grande artista che ci rende il
servizio (…) di mostrarci quale ricchezza, quale varietà
celi, a nostra insaputa, la vasta notte impenetrata e scoraggiante della
nostra anima».
Se i tasti delle note musicali nelle loro infinite combinazioni e varianti
sono in grado di esaltare la qualità di un concerto ben oltre le
sette note, gli effetti delle parole della letteratura e, in particolare,
nel nostro caso della poesia non sono da meno e contribuiscono ad accrescere
ulteriormente le enormi potenzialità e le fondamentali intuizioni
che derivano dall’instaurarsi di un rapporto diretto tra poesia
e musica.
Qualche anno fa Niva Lorenzini, intervenendo ad un premio di poesia dedicato
alle donne, osservava che sono ancora poche le poetesse tra le figure
femminili che compaiono nelle antologie che contano a livello istituzionale
e nei canoni dei percorsi poetici ufficialmente riconosciuti e, pertanto,
si chiedeva «Forse è fuori canone la scrittura femminile?
Ma chi fissa i canoni, secondo quali parametri vengono fissati i canoni
? »
A queste domande, la Lorenzini rispondeva:
«La lingua è ancora molto maschile, gli schemi metrici sono
maschili, le regole formali sono maschili, e ancora io credo che ci siano
ragioni più profonde». E proseguiva: «Chiediamoci,
anche, in positivo questa volta: perché la scrittura femminile
fa fatica a diventare canone? Perché è una scrittura ironica,
intanto, e l’ironia comporta trasgressione, comporta difficoltà
ad essere perimetrata e regolamentata. Io aggiungerei che è una
poesia di emozioni che più difficilmente si lasciano sterilizzare,
che sa unire il rapporto concreto con le cose, col quotidiano, con l’elemento
dell’invenzione. E’, perciò, una poesia che spiazza,
che rompe con i codici precostituiti».
Essendo restia per le sue intrinseche caratteristiche ad essere etichettata
e catalogata, la scrittura femminile svolge, quindi, una funzione creativa
che favorisce il rinnovamento.
Come voce maschile della serata, nel condividere il giudizio della Lorenzini,
non posso fare a meno di accogliere anche altre motivazioni pertinenti,
come quelle, ad esempio, fatte proprie da Alberto Bertoni, che contribuiscono
a definire in modo complementare la scrittura femminile. Scrive Bertoni:
« La scrittura femminile è una scrittura dinamica (...) che
è capace di sguardo esattamente quanto è capace di ascolto
e anche questa è una peculiarità della scrittura femminile
vera. La capacità di mettere in gioco, di innescare, in una specie
di corto circuito percettivo tutti i sensi, tutte le potenzialità
sensoriali, di non limitarsi cioè soltanto alla vista, che è
ufficialmente il senso della razionalità, il senso della ragione».
Mi sembra che la poesia di Loretta Scarazzati, che apparentemente si presenta
a prima vista come semplice e chiara - e, senza dubbio, lo è dal
punto di vista stilistico -, sia invece più articolata e complessa
di quello che sembra, o meglio, sia densa di richiami, di riferimenti,
di collegamenti che arricchiscono, comunque, le potenzialità e
gli effetti che scaturiscono dal confronto e dal rapporto creativo messo
in atto con alcuni tra i più significativi poeti italiani ed europei.
Non a caso, Jiménez, Quasimodo, Pavese, Ungaretti sono tra i poeti
preferiti dall’autrice, che questa sera verranno letti intrecciati
ai versi de Le viole stelle, in un gioco di echi e di rimandi, in segno
d’amore e gratitudine ad una parola da cui si è tratto nutrimento.
La raccolta di poesie di Loretta si annuncia con un titolo che richiama,
tramite le viole, delicate immagini primaverili di fiori, accostati alla
luminosità delle stelle, quasi a legittimare la segreta aspirazione
di volere lanciare, con la complicità della poesia, l’antica
sfida tra la terra e il cielo.
Il ricorso a suggestive immagini poetiche trova, infatti, conferma all’interno
delle singole liriche che attestano un gusto raffinato e una spiccata
sensibilità dell’autrice, ispirati a un equilibrato e armonico
senso della misura.
«Poesia lieve», si è detto, «dell’età
dell’innocenza», tuttavia pervasa, a mio parere, da un’inquietudine
sotterranea, che richiama, anche «per la limpidezza dell’espressione»
- in questo caso, sono pienamente d’accordo con Fortuna Della Porta
- «una fase del mondo emozionale e poetico di Antonia Pozzi».
Si veda in proposito Sera d’aprile della Pozzi, in cui l’immediatezza
dell’immagine prorompe nell’arco di pochi versi, fondendosi
con un attonito, ma autentico stupore: «Batte la luna soavemente/
di là dai vetri/ sul mio vaso di primule:/ senza vederla la penso/
come una grande primula anch’essa,/ stupita,/ sola,/ nel prato azzurro
del cielo».
Con la stessa limpidezza di immagini Loretta scrive: «sarà
tutto, sarà niente/ le parole, le nuvole, il vento/ e un giro di
valzer».
Tra le influenze dichiarate, ma forse sarebbe più esatto definirli
“punti di riferimento”, o “modelli ispiratori”,
quello di Emily Dickinson appare tra i più autorevoli, trovando,
infatti, nella sensibilità femminile un simbolo emblematico e una
compiuta ragione di essere.
Potremmo tracciare un itinerario che inizia in apertura di volume con
l’intenso momento poetico rappresentato dal mistero della «notte»,
percepita e descritta in sintonia con le reminiscenze dei classici, giungendo
fino alla rinnovata esigenza di modellare i sogni per comprendere meglio
il ruolo e l’importanza.
Anche se, come ci informa l’autrice, « il più incantevole
dei sogni non si realizzò», resta intatto lo stupore e la
speranza che intervenga una metamorfosi della natura a salvaguardare la
magia e l’incanto: «forse una conchiglia / una stella/ il
vento/ un’onda del mare».
Ma il “disincanto” è in agguato dietro la porta, sempre
pronto a trascinare le più allettanti aspettative nell’appiattimento
della dimensione quotidiana.
Basta poco, magari solo una piccola distrazione, a fare perdere la strada
giusta, o a sbagliare l’approdo: «fu scelta o ingannevole
incantesimo», si chiede l’autrice, che sembra volere cercare
un antidoto per difendersi «contro tanta avvelenata dotta sapienza»,
avendo a disposizione solo gli strumenti inadeguati della poesia.
«Ciascuno costruisce le sue prigioni», basta poco a costruire
«sbarre di ferro che ci legano stretto» commenta Loretta,
alludendo alle gabbie metaforiche, o reali che l’individuo realizza
accuratamente con spirito autolesionista, mentre in precedenza Antonia
Pozzi aveva scritto: «Ciascuno la propria tristezza/ se la compra
dove vuole- / come vuole».
La raccolta, frutto di una produzione artigianale, che si riflette anche
nella cura e nella veste esteriore del libro, le cui caratteristiche tendono
a valorizzare i singoli esemplari come se fossero «oggetti d’arte»,
si snoda con agile leggerezza alla ricerca della reale identità
delle voci che si riconoscono in un contesto amico e familiare: «Dove
sei?/ Sei là sei qui/ sei altrove/ e io t’amo».
In una condizione esistenziale che offre labili certezze, la figura del
padre si erge come un punto fermo che sprigiona una profonda commozione:
«sarai tu il primo a venirmi incontro/ (…) La tua mano sarà
pronta/ a prendermi/ forte/ il polso».
Si chiude così, con un bilancio positivo, un invito al dialogo
e alla comunicazione « io ti ascolterò/ ascolterò
i tuoi silenzi e i tuoi sorrisi/ le tue ombre e le tue luci» questa
prima raccolta di versi, che fa ben sperare riguardo agli esiti futuri
di un genere poetico caratterizzato dalla trasparenza dei sentimenti e
dalla immediatezza delle emozioni.
Se per «leggere bene» come dichiara lo scrittore John Fante,
occorre mettersi in relazione con il libro letto, «attivare gli
spazi della fantasia e del sogno», «ascoltare il richiamo
delle voci dei libri», di altri libri, questi requisiti la raccolta
di poesie di Loretta Scarazzati li contiene tutti, insieme con la percezione
di questa voce misteriosa, di cui parla John Fante, che tramite la lettura
permette di sondare profondità oscure, sconosciute persino a noi
stessi.
Sante
Medri, autore di studi di storia della cultura e dell’editoria,
ha al suo attivo una intensa produzione saggistica e di critica letteraria,
tra i quali si ricordano: “Cultura e società a Lugo dal ‘600
al ‘900”, con saggio introduttivo di Marino Biondi, (La Mandragora,
Imola 2000), “Gino Croati. Immagini del tempo di guerra” (Edit
Faenza 2001), “Francesco Balilla Pratella e la cultura lughese tra
Ottocento e Novecento” (Il Ponte Vecchio, Cesena 2006), “Libri,
giornali, letture nell’area lughese dall’Unità d’Italia
alla caduta del fascismo” (2007), “Pietro Cavallini. Viaggio
nei libri e nelle letture di un bibliofilo lughese”, con saggio
introduttivo di Marino Biondi, (Edit Faenza, 2008). E’ stato direttore
della Biblioteca Comunale “Trisi” di Lugo. Collabora con saggi
e recensioni alle riviste “Confini”, “Memoria e Ricerca”,
“I Quaderni del Cardello”, “Romagna Arte e Storia”,
“Studi Romagnoli”, “Università Aperta - Terza
pagina”.
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